Giovanni Gandolfi (coordinatore, 5^F), Ludovica Lelli (4^F), Elena Sofia Prati (5^H), Thi Hòa Evangelisti (5^F)
“Si considera minoranza un gruppo di popolazione che, a causa della sua non uniformità etnica, religiosa, linguistica o culturale, si distingue all’interno della società e per questo viene sottoposta a un trattamento differenziato e diseguale da parte di una maggioranza che si reputa universale e detta la norma. I confini fra maggioranza e minoranze non hanno carattere naturale, ma sono derivati dal processo di formazione dello stato moderno e dall’assunzione del principio di nazionalità come fondamentale”. Definizione di “minoranza” da Unimondo.
Introduzione: la “forbice umana”
Globalizzazione. Grazie ad Internet possiamo informarci, come stai facendo tu, lettore di Voci Globali, leggendo queste righe. Un’informazione dinamica e dettagliata. È proprio in modi come questo che l’umanità comincia ad acquisire un’identità. Un’identità e una coesione che prima, nella sua storia, non esistevano affatto. L’umanità come un solo popolo. Ma attenzione: dall’altro lato della medaglia ci sono ancora problematiche non risolte nel resto del mondo. Se da un lato l’umanità tende ad essere più coesa, dall’altro lato emergono maggiormente differenze capillari, nella fattispecie differenze locali delle minoranze all’interno dei singoli Stati. Proprio come una forbice: su una lama siede l’umanità unita e coesa, mentre sull’altra dimorano le discriminate minoranze. Col passare del tempo, la forbice si apre sempre di più.
Il fatto che l’uomo abbia cominciato a sviluppare questa coscienza di essere parte di un tutto molto più ampio è indubbiamente un’ottima premessa. Ma con ancor meno dubbio ci si accorge che ciò non basta a sanare quelle differenze che sussistono in numerosi Stati. È importante quindi capire in che modo l’uomo può agire al fine di creare un’unica umanità. Come? Anzitutto avendo coscienza di ciò che accade attorno a lui, capendo come, al giorno d’oggi, i diritti delle minoranze nel mondo vengano calpestati. E come l’uomo ne è responsabile.
Che cos’è una minoranza?
Esistono diverse definizioni di minoranze, e vi sono numerosissime casistiche in cui un popolo può essere considerato una minoranza. In questo articolo ci limiteremo perciò a fornire qualche esempio per dare un quadro generale di come può avvenire una repressione (intesa come una violazione dei diritti di una minoranza) e di come ogni uomo può esserne coinvolto.
Di quali diritti godono le minoranze?
Ovviamente, prima di parlare delle violazioni dei diritti delle minoranze, occorre precisare in cosa essi consistano. Esiste una Dichiarazione sui diritti delle minoranze etniche, religiose e linguistiche redatta dall’ONU. In essa si stabiliscono le modalità in cui uno Stato deve tutelare una minoranza all’interno di esso (salvaguardandone ad esempio le usanze culturali, religiose, linguistiche; oppure permettendo alle minoranze di prendere parte alle decisioni del Paese cui appartengono). Ma oggigiorno questi diritti sono rispettati? Spesso non è così.
Violazioni culturali, religiose e sociali: il caso del Tibet
Uno dei casi più eclatanti e che ha appassionato due generazioni di attivisti è quello del Tibet, regione himalayana occupata negli anni ’50 dal governo cinese. Una questione che ha fatto parlare soprattutto in occasione delle penultime olimpiadi di Pechino e, tristemente, dell’alto numero di monaci che si auto-immolano per ottenere l’indipendenza del proprio Paese. Un esempio: dal 4 al 26 Novembre 2012 è trascorso un periodo di 22 giorni. In questo periodo 22 monaci si sono dati fuoco in una piazza pubblica per l’indipendenza tibetana. E l’elenco di questi “eroi silenziosi” è tristemente lungo, e continua a crescere.
Nel 1950, Mao Zedung cominciò l’invasione tibetana. Nel 1959 il leader cinese colse il pretesto di una sollevazione popolare per esercitare repressioni sanguinose e conquistare il resto del Paese. Il governo tibetano fu dichiarato illegale, e il Dalai Lama, accompagnato dai suoi funzionari, dovette ricorrere all’esilio (a tutt’oggi la base del governo tibetano in esilio è Darmshala). Lo scempio che seguì all’invasione non necessita commenti: dal 1966 al 1976 in Cina si ebbe una estremizzazione del pensiero promossa dal regime maoista, che portò alla distruzione di numerosissimi templi tibetani poiché simbolo di una cultura (e dunque di un pensiero) differente da quello del regime.
Da quegli anni in poi, in Tibet cominciò un processo di cinesizzazione molto forte: il governo cinese si arrogò il diritto di eleggere il Dalai Lama e le altre autorità religiose e politiche (tanto che fu rapito il successore dell’ultimo Panchen Lama, secondo in autorità solo al Dalai Lama), e cominciò ad aprire il Tibet al resto del mondo. Cosa mai successo prima. Ciò accadde, in particolare, commercialmente, grazie al collegamento con un’imponente ferrovia alla città di Xining. Venne reso obbligatorio l’insegnamento del cinese nelle scuole, e in generale la Cina limitò tutti gli aspetti dell’autonomia tibetana, identificandoli come “un fenomeno di nazionalismo tibetano”; religione e lingua comprese.
Questa compresenza e dicotomia può essere anche avvertita fisicamente, poiché la capitale tibetana, Lhasa, è divisa in due parti: quella tibetana e quella cinese. Da qualche parte, del resto, rimane un nucleo che tenta di preservare la cultura tibetana. Il Governo tibetano in esilio, infatti, ha principalmente le funzioni di sostenere gli esuli in arrivo dal Tibet, amministrare i campi profughi e gli insediamenti permanenti, preservare la cultura tibetana e promuovere l’istruzione dei profughi. La fonte primaria del diritto è costituita dalla Carta dei Tibetani in esilio (Charter of the Tibetans in Exile), un documento adottato nel 1991 dall’Assemblea dei Deputati. Si basa sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e sul principio della separazione dei poteri.
Palestina e Israele
Un’altra delle questioni di cui si sente più parlare è senza dubbio il conflitto che coinvolge Israele e Palestina, ed è forse il contesto in cui i diritti vengono violati nel modo più eclatante. Nei territori occupati, Israele non ha esitato ad adottare politiche che prediligono gli appartenenti a religione ebraica, arrivando a considerarla giuridicamente preferita rispetto a quella palestinese. I diritti collettivi si estendono solo agli ebrei, discriminando l’altro gruppo etnico in base allo stato inferiore che gli è stato conferito. In Israele, dal 1947, i palestinesi non godono affatto di concreti diritti. Israele nega inoltre numerosi diritti come quello di costruirsi una casa al di fuori di stretti confini stabiliti dal governo. E spesso, tali confini non tengono conto degli aumenti demografici dei coloni nel corso del tempo.
Oltre a ciò, la maggior parte delle risorse palestinesi sta passando sotto il controllo israeliano. E ogni ribellione palestinese viene repressa, poiché legislativamente appare come un’azione terroristica. La libertà di associazione, praticamente, non esiste: bisogna chiedere un’autorizzazione se almeno 10 palestinesi vogliono riunirsi, e il governo israeliano non esita ad usare l’assetto da guerra per rispondere ad eventuali “sgarri”. Molteplici violazioni si sono verificate anche in ambito religioso: 80 sono gli atti anti-islamici verificatisi dall’inizio di quest’anno. La lista quindi è molto lunga.
Minoranze e cambiamento climatico
Un discorso che di solito viene ignorato o non approfondito riguarda le conseguenze delle catastrofi naturali ai danni delle minoranze. Visto che spesso si tratta di gruppi lasciati spesso a sé stessi dagli Stati che li contengono, e che non hanno generalmente abbastanza risorse. In quanto gruppi non tutelati, e spesso senza la possibilità di disporre sufficientemente di risorse naturali, gli impatti delle emergenze climatiche sortiscono sulle inoranze effetti devastanti.
Alluvioni, inondazioni, scioglimento dei ghiacci, maremoti: sono le popolazioni in difficoltà, quelle più povere che ovunque nel mondo patiscono maggiormente gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. Questo è, in sintesi, il messaggio del rapporto sullo “stato delle minoranze nel mondo 2008″, stilato dal Minority Rights Group International. E ora la situazione è migliorata? Non sembra affatto.
La regolamentazione sui diritti per le minoranze prevederebbe che lo Stato cui appartiene la minoranza la tuteli anche in casi di emergenza. In che modo allora queste minoranze non sono tutelate? Accade spesso che tali minoranze siano lasciate indietro nelle operazioni di soccorso perché vivono ai margini della società. Tale fu il caso dei Dalit (“gli intoccabili”), in Bihar, In India. Nel 2007 si verificò una delle peggiori inondazioni mai subite dalla regione. Ma se per la popolazione indiana appartenenti alle caste medio-alte la cosa si risolse in termini relativamente rapidi, per i Dalit fu un duro colpo. In questa e in successive altre occasioni analoghe la minoranza subì una forte discriminazione mentre venivano dispensati i primi aiuti umanitari, e i tempi di arrivo dei soccorsi, per loro, furono notevolmente più lunghi.
Nel Bihar fenomeni come questi accadono con relativa intensità, e al fine di prevederli ed evitarli, i saggi del luogo si basano sull’interpretazione di alcuni segni della natura che permettono di prevedere le inondazioni. Su questo equilibrio si stabiliscono i tempi del raccolto del grano, risorsa principale della regione. Non finisce qui: tra i profughi dall’alluvione si sono instaurate tensioni proprio a causa della presenza di questi “intoccabili”. Gli appartenenti alle caste hanno persino richiesto all’associazione Christian Aid di mandare via i Dalit poiché potrebbero contaminare l’acqua irrorata dalle pompe di sostentamento.
Paradossalmente, altre minoranze sono perfino vittima degli sforzi fatti per contrastare il riscaldamento globale, come lo sgombero di alcuni tratti di terra da utilizzare per la produzione di biocarburanti. Alcune delle minoranze toccate da questi problemi sono la comunità di pescatori Rakhain in Bangladesh, i pastoralisti del Kenya, la comunità Karamajong in Uganda, gli afro-colombiani in Colombia, le comunità rom in Europa e il popolo Sami nel nord della Scandinavia. L’Europa, comunque, ha deciso di rinnovare i suoi piani per l’ottenimento del biocarburante.
Chiudiamo questo paragrafo con le parole di David Pulkol della comunità ugandese della Karamoja denuncia l’effetto del cambiamento climatico: “Col cambiamento climatico sta diventando impossibile fare queste previsioni”. E aggiunge: “Stiamo avendo un incremento inusuale di carestie e mancanza di risorse, con un accentuamento della povertà della nostra zona”.
Sfruttamento e risorse: Nigeria, una terra piagata e piegata
25 anni. Non è l’età di qualcuno, né il termine di un progetto che riguarda le minoranze. E’ il tempo che, secondo le Nazioni Unite, servirà all’Ogoniland (in Nigeria) per riprendersi dai danni causati dal petrolio e dallo sfruttamento del terreno. Nelle migliori delle ipotesi. Una regione grande quanto la Toscana devastata dai fumi dell’estrazione, che permeano l’aria di ossido di carbonio, che ormai è divenuta una grande distesa di petrolio e fango.
Sin dal 1990 gli Ogoni si organizzarono in una vera e propria resistenza (il Movement for the Survival of the Ogoni People, fondato dallo scrittore Ken Saro-Wiwa). La protesta non violenta di Saro-Wiwa era diretta principalmente verso le multinazionali petrolifere, che, visto il largo consenso acquisito dallo scrittore, sollecitarono il regime militarista locale ad intervenire. Il 10 Novembre 1995, dopo un processo farsa, Ken Saro-Wiwa venne impiccato in piazza pubblica assieme ad altri ambientalisti.
Nel 2008, sotto la supervisione dell’azienda Shell, due grandi fuoriuscite di greggio devastarono queste terre. Amnesty International si è subito mobilitata per chiedere alla Shell un risarcimento di un miliardo di dollari. Il governo nigeriano, in questa situazione, sembra non voler mobilitarsi (o comunque fornisce aiuti assai esigui). E andando a parlare con gli abitanti dei villaggi locali, che ormai non possono nemmeno più bere l’acqua dei loro pozzi, la situazione si dipinge di un nero drammatico, mentre l’Europa sembra ignorare questi fatti.
Si legge, sul sito di Amnesty International, che “la Shell, che ha ultimamente dichiarato utili per 7,2 miliardi di dollari per il periodo luglio – settembre, offrì inizialmente alla comunità di Bodo 50 sacchi di riso, fagioli, zucchero e pomodori”. Un pescatore di Bodo ha detto: “Prima delle fuoriuscite, la vita era facile. Si viveva di caccia e di pesca. Dopo, tutto è andato distrutto“.
Popoli indigeni
Se nel caso sopra esaminato una società si è insediata su un pezzo di terra sfruttandolo, vi sono dei casi in cui la terra è stata sottratta a delle minoranze benché esse vi dimorassero da tempi immemori. E nonostante esistano vari documenti, Carte e Dichiarazioni che dovrebbero tutelare questi popoli indigeni. È il caso dei popoli indigeni americani, come gli Indiani d’America, i Maya, i popoli amazzonici, i Berberi in Africa e i Touareg.
I Mapuche, in Cile, furono tutelati da Salvador Allende (eletto nel 1970), ma in seguito al colpo di Stato a favore di Augusto Pinochet, Ugarte comincerà una serie di soprusi nei confronti della minoranza. Terre confiscate e repressioni violente caratterizzano la politica di quegli anni. Nei confronti dei Mapuche verrà anche perpetrato un programma di “urbanizzazione”, di civilizzazione forzata che li vede come appartenenti ad una cultura inferiore… creando non poco disorientamento. E ancora oggi la storia prosegue.
Conclusione
Parlare di ciascuno di questi popoli, delle loro storie e delle loro condizioni richiederebbe veramente troppo spazio – e forse farebbe collassare il server di questo sito.
Vi abbiamo raccontato dei tibetani, dei Dalit, degli indigeni: ma essi non sono che simboli, alcuni esempi di un mondo di violenza e violazione che è molto più vasto. Anche noi, ogni giorno, contribuiamo in qualche modo a questo processo. Creiamo le premesse per il cambiamento climatico, ed ecco che una nostra piccola disattenzione in questo senso si somma a tutte quelle degli altri uomini, e diventa un’alluvione in India. Uno spaventoso effetto farfalla… di cui però avvertiamo anche noi le conseguenze. Con le nostre scelte quotidiane influenziamo il destino di interi popoli. Scegliendo quali prodotti comprare, scegliendo di fare benzina alla Shell piuttosto che in un altro distributore. Siamo liberi di dare credito a questi oppressori, oppure di distruggerli. Noi, proprio noi, come parte di quella collettività umana di cui avevamo parlato all’inizio; dove ciò che fa il singolo si somma con ciò che fanno gli altri, e il mondo così cambia.
Noi abbiamo questa libertà. Questo potere. E come fare per impiegarlo in maniera giusta? Come fare per chiudere la forbice? Semplice. Continuiamo ad informarci.