Gabriele Giordani (4^ G); Teresa Nicoli Aldini (4^ H); Erica Degli Esposti (2^F); Marianna Selleri (2^C)
Nel 1981, nella sede dell’ UNESCO, a Parigi, venne emessa la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo in seguito alle critiche mosse dalle autorità islamiche contro una visione troppo occidentale dei diritti dell’uomo. Con questa si intendeva “superare” quindi la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, in quanto essa non prendeva in considerazione la concezione della persona nella comunità islamica, in particolare per ciò che riguarda la religione e l’importanza di essa nei Paesi islamici. La stesura del documento venne preceduta da un intervento presso le Nazioni Unite da parte del rappresentante iraniano Saʿid Rajaie Khorasani, secondo il quale la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rappresentava “una interpretazione laica della tradizione giudaico-cristiana“ che non avrebbe potuto essere attuata dai musulmani, in quanto violava la legge del’Islam.
Questa dichiarazione non fu però il solo segnale di “rilettura” dei diritti umani, da parte dell’Islam. E non esiste, quindi, una sola versione della Dichiarazione Islamica dei diritti dell’uomo. Infatti, nel 1990, venne deliberata la Dichiarazione del Cairo dei Diritti Umani dell’Islam, un testo di 25 articoli e un breve preambolo che sembra non riconoscere l’esistenza della Dichiarazione di Parigi.
In entrambi i casi, le Dichiarazioni si basano soprattutto sui principi dell’Islam ed è proprio in questo che differiscono dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nata in seno alle Nazioni Unite dopo la Seconda guerra mondiale. Nell’art. 4 della Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, viene infatti affermato che “ogni individuo ha il diritto di essere giudicato in conformità con la legge islamica” e che “nessuno ha il diritto di costringere un musulmano ad obbedire ad una legge che sia contraria alla legge islamica”. Ciò dimostra quanto nel sentire islamico i diritti umani vadano di pari passo con la religione, senza essere scissi da essa. Si pone al centro la visione islamica della vita, perciò la religione è posta al di sopra di tutto, e i diritti dell’uomo si devono conformare alle norme sciaraitiche (Sharīʿa).
La Dichiarazione di Parigi inizia con un’introduzione che sottolinea quale sia la posizione dell’uomo nell’universo, e come esso necessiti di vivere in armonia con la divinità per poter portare a termine il suo compito in questo mondo, di cui l’uomo è una parte importante, ma non il centro. Prosegue poi con un elenco di 14 diritti puramente religiosi, che vengono definiti inabrogabili e irrinunciabili. Pertanto ad un individuo non è dato rinunciare ai suoi diritti, o sostituirli con altri, e nessuna Istituzione di natura umana può esprimerne di differenti, se in contrasto con la Legge Divina. Ognuno deve quindi la sua fedeltà innanzitutto all’autorità religiosa, nel caso in cui essa non coincida con quella dello Stato.
Tra i valori condivisi con la società occidentale troviamo la famiglia, l’uguaglianza (ma sempre davanti alla legge islamica), le pari opportunità, il diritto alla sicurezza, il diritto al giusto processo, alla libertà di movimento e all’educazione. Alcuni diritti vengono garantiti come “diritto alla protezione”. Diritto alla protezione “contro l’abuso di potere”, “contro la tortura”. E c’è il “diritto alla protezione dell’onore e della reputazione”. Nella Carta compaiono anche il diritto “alla libertà di fede, pensiero e parola” e il diritto “alla libertà di religione”…
Da un punto di vista occidentale appare strano come vengano esplicitati i diritti della donna coniugata, e solo in quanto tale, inducendo a pensare che debbano essere messi per iscritto per diversificarli da quelli dell’uomo, in contraddizione con l’articolo 3, che specifica il diritto di non essere discriminati per sesso, razza o religione.
Analizzando questa Carta, e sapendo che ce ne sono altre specifiche – la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, ad esempio – viene spontaneo domandarsi cosa sia inteso per universalità. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha infatti cercato di sancire dei diritti inalienabili validi per ognuno, ma la nascita, in risposta ad essa, di documenti come la Dichiarazione islamica o la Carta africana (che però non si proclamano universali) segnala un inevitabile disaccordo su alcuni punti fondamentali e, nonostante l’apertura al dialogo risveglia il quesito su quali diritti e doveri (e responsabilità) siano propri di tutti gli uomini e quali invece riguardino le singole culture, e in che modo essi possano coesistere senza contraddirsi gli uni con gli altri. La Dichiarazione islamica, infatti, non risulta valida per chiunque: nonostante venga definita una libertà di culto, viene esplicitamente dichiarata la sovranità dell’Islam. Quella delle Nazioni Unite pone al contrario ogni religione allo stesso livello.
La Dichiarazione universale si ispira alle leggi, mentre in quella islamica si fa spesso riferimento alla legge “divina”, basti pensare che il diritto alla vita viene meno quando è consentito dalla legge islamica, come dichiarato nell’articolo 1. Ricorre spesso il nome di Dio, poiché, come possiamo leggere dall’introduzione della carta islamica, “Dio e soltanto Dio è l’autore della legge e dei diritti umani“, specificando che nessuna autorità umana, in quanto creazione divina, può opporvisi, nemmeno l’autorità statale.
La legge islamica cui la Carta fa riferimento, risulta avere una molteplicità di interpretazioni, da quelle più moderate a quelle più estremiste. Per tale motivo molti ritengono che basare un codice universale su una legge di questo tipo risulti un rischio per la garanzia dei diritti fondamentali. Questo documento sostiene molti diritti che sono positivi e condivisibili, ma – questa la critica da parte del mondo occidentale – il fatto che sia costruito sul Corano, testo che i musulmani ritengono dettato da Dio stesso, rende difficile discutere su dei compromessi fra questa e le altre Dichiarazioni.