Figli del peccato, potenziali salvatori: le scelte dell’uomo

Francesco Perlini (IV F) Eleonora Deluca (V F)

Un’equazione ed un atomo sono sufficienti a dare una svolta alla fisica, è vero, ma anche a macchiare e minacciare il corso della Storia.

Con la celebre Teoria della Relatività ristretta di Albert Einstein, da lui pubblicata nel 1905, entrò in campo un nuovo, rivoluzionario assioma: energia e materia sono strettamente legate.

L’équipe di Enrico Fermi, fisico italiano rifugiatosi in America, dal 1934 iniziò a compiere una serie di studi a partire da questa teoria, e sperimentò quella che poteva rivelarsi una potente arma alla cui base c’era la fissione nucleare, reazione a catena fra atomi di uranio o plutonio, che scontrandosi fra loro causavano una violenta conversione di materia in energia. Le conseguenze di questa scoperta non si sarebbero limitate al solo campo scientifico: passarono pochi anni prima che lo Stato americano fosse coinvolto nella faccenda.

Il 2 agosto 1939 il presidente Roosevelt veniva messo al corrente, tramite una lettera, della possibilità di costruire un nuovo tipo di bomba, a partire dagli studi di Fermi: la lettera era stata scritta da Einstein su esortazione di Léo Szilard, fisico ungherese, e dello stesso Fermi.

Da questo momento gli USA, soprattutto durante la Seconda guerra mondiale, compirono una lunga serie di esperimenti sulla bomba, e ne fecero uso bellico due volte, le uniche della Storia, coinvolgendo le città i cui nomi non smetteranno mai di stridere nella memoria: Hiroshima e Nagasaki, centri giapponesi rasi al suolo nell’agosto 1945 ed abbattuti a distanza di soli tre giorni l’uno dall’altro. Il numero di vittime è stimato tra 100 e 200mila, senza contare l’ancor più grande numero di persone che subì gli effetti delle radiazioni: malformazioni, danni fisici e malattie ereditarie.

Questi eventi portarono alla consapevolezza di quanto realmente devastante e distruttiva fosse la bomba atomica: appena finita la guerra furono molti i Paesi che iniziarono una corsa per il possesso di quello che ancora adesso è unicamente uno strumento inutilizzato di minaccia e di potere, che porta all’uso improduttivo di risorse e denaro in quantità inimmaginabili.

Secondo una recente statistica (OECD Working paper), nel 2011 sono stati utilizzati 1738 miliardi di dollari per tutte le spese militari del pianeta. Ma basterebbero 5 miliardi di dollari l’anno per estinguere la fame nel mondo, 9 per garantire a chiunque una scolarizzazione e 60 per eliminare il virus dell’HIV.

Il contrasto e il valore di queste cifre è impressionante, tale da ridestare gli animi di numerosi gruppi di persone, che unendosi in massa hanno fondato associazioni con cui contestare all’unisono questi paradossi che trafiggono il pianeta con dardi sempre nuovi.

A livello internazionale organizzazioni come Greenpeace, il WWF o Amnesty International; in Italia Legambiente, l’RNA (impegnata nella battaglia contro l’uso del nucleare) e – con campagne in Italia e all’estero anche all’interno di una rete di organizzazioni – l’Istituto Buddista Soka Gakkai, il quale si è anche impegnato nella realizzazione della mostra itinerante Senzatomica.

Ma siamo sicuri che tutto questo basti, che queste iniziative corali siano sufficienti ad arginare i danni provocati dalla leggerezza che ineluttabilmente ci appartiene?

La risposta va cercata considerando la nostra condizione quotidiana, non di colpevoli ma di potenziali interventisti. Con l’esplosione della tecnologia, il complesso dei media finisce, inconsciamente e non, per abusare della facilità di diffusione delle notizie, che ha raggiunto un tale livello che l’uomo rischia di disinteressarsi a cosa gli accade intorno e di annegare nel mare di informazione e sordità sociale nel quale è sommerso.

Dobbiamo essere in grado di discernere e valutare quanto giunge alle nostre orecchie e ai nostri occhi, sviscerando i problemi, abbattendo i muri dell’indifferenza e dell’omertà, riconoscendo e annientando gli stereotipi, fino a raggiungere una consapevolezza e una partecipazione che si possano definire, in tutto e per tutto, reali.

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