Scappare dall’Eritrea, la testimonianza di Abraham Tesfai
Tommaso Palmieri (4^G) e Simone Persiani (4^G)
Conosciamo davvero fino in fondo le storie di coloro che sono disposti a sfidare il mare e il deserto per approdare in Europa? Abbiamo intervistato Abraham Tesfai, un ragazzo eritreo che vive a Bologna e che ha scelto di non rimanere solo una vittima di questa parte della storia contemporanea, ma di fare attivismo e sensibilizzazione sul tema dell’immigrazione e del diritto d’asilo.
Quando sei arrivato in Italia?
Ci sono arrivato nel 2008, avevo 19 anni.
Dove hai passato i tuoi primi giorni in Italia?
Sono arrivato a Lampedusa dopo una settimana di viaggio in barcone. Inizialmente sono stato trasferito a Caltanisetta, in Sicilia, chiuso in un campo per 2 mesi e 2 settimane senza il diritto di uscire. Ho presentato una richiesta per ottenere l’asilo politico poiché scappavo dal regime dittatoriale eritreo ma non mi è stato riconosciuto. Mi è stato però concesso l’asilo umanitario e mi sono stati chiesti 70 euro per il titolo di viaggio che viene dato con il permesso di soggiorno. Finalmente avevo il permesso di viaggiare liberamente all’interno dei confini italiani.
Come sei arrivato a Bologna?
Ci sono arrivato per caso perché un controllore mi ha fatto scendere dal treno proprio alla stazione di Bologna. Per una settimana ho dovuto dormire per strada ma poi sono ripartito in treno per la Svizzera.
Come sei stato accolto in Svizzera?
Arrivato a Ginevra ho chiesto l’asilo politico. Il loro sistema d’accoglienza è molto diverso da quello italiano: mi hanno dato una camera e hanno preso le mie impronte digitali. Dopo 3 settimane sono venuti a prendermi riportandomi in Italia facendomi dormire una notte in carcere. Mi hanno fatto spogliare e lasciato nudo. Infatti si sono accorti che avevo già lasciato le impronte digitali in Italia. (Le impronte digitali vengono prese a tutti coloro che non hanno con sè documenti di identità. Essendo già stato identificato in Italia, Abraham non aveva il diritto di essere accolto in un Paese diverso in qualità di rifugiato – NdR). Ho quindi ripreso il treno e sono tornato a Bologna perché era l’unica città che conoscevo, nonostante sapessi che sarei tornato a vivere per strada.
Come sei riuscito a sistemarti a Bologna?
Inizialmente non ho avuto possibilità di sistemazione. Ero sommerso dai problemi, a volte dormivo fuori, in stazione o in un dormitorio. Un giorno ho trovato una persona che mi ha offerto uno spazio per dormire, e da quel momento ho cominciato a lavorare duro per migliorare la mia condizione. Ho iniziato come facchino notturno, poi mi sono iscritto a una scuola guida, ho preso la patente, ho lavorato in una cooperativa per 3 anni. Nel periodo in cui lavoravo seguivo anche una scuola serale. In realtà mi ero già diplomato in Eritrea ma, quando sono andato all’ambasciata eritrea a Milano per ottenere il riconoscimento del mio diploma, mi hanno detto che non mi avrebbero aiutato poiché ero scappato illegalmente dall’Eritrea. Ho dovuto rifare le superiori e mi sono diplomato con 71 come perito meccanico. Ho fatto il test per la facoltà di fisioterapia ma non sono stato ammesso e quindi ho scelto agraria: ora sono al terzo anno di studi. Contemporaneamente lavoro part-time.
Perché hai deciso di lasciare l’Eritrea?
Perché avrei dovuto fare il servizio militare a vita, la dittatura non lascia alcuna libertà né di religione, né di parola, né di stampa.
Com’è la dittatura in Eritrea? Quali sono le sue caratterstiche?
Con l’arrivo degli italiani nel 1882 l’Eritrea si è separata dall’Etiopia. Il colonialismo italiano è durato per 50 anni, e in seguito toccò agli inglesi che colonizzarono l’Eritrea per 10 anni. In un periodo successivo, nonostante molti Paesi africani stessero ottenendo l’indipendenza, l’Italia ha deciso di donare il territorio eritreo all’Etiopia. Scoppiarono perciò numerose rivolte, trasformate ben presto in una guerra di secessione lunga 30 anni. Nel 1991 abbiamo scacciato gli Etiopi, con un bilancio di oltre 65.000 morti; nel 1993 è stato indetto un referendum per l’indipendenza in cui hanno vinto i favorevoli con il 98%. Il partito dei secessionisti ha formato uno Stato provvisorio al fine di redigere una Costituzione e di strutturare degli organi democratici. Ma nel 1997 non era ancora stato fatto nessun passo in avanti e sono quindi ricominciate le proteste in concomitanza con la nascita dei giornali liberi. Sulla scia delle nuove rivolte si è scatenata una nuova guerra contro l’Etiopia terminata solo nel 2000. L’anno seguente 15 ministri dell’unico partito esistente hanno chiesto una Costituzione. Il leader dei secessionisti, che si comportava come un vero e proprio dittatore, ha accettato nominalmente il nuovo documento. Il giorno seguente ha mandato i suoi soldati dai ministri per farli sparire e ad oggi non se ne sa ancora nulla. É stato quello il momento in cui abbiamo capito di avere un regime a casa nostra. Il dittatore ha chiuso i giornali privati, ha messo i giornalisti in galera, ha chiuso l’università, instaurando un rigido regime del terrore. Oggi appena apri bocca finisci in galera.
Come sei riuscito a scappare?
Mi piaceva l’Eritrea, non volevo andar via, ero attaccato alla mia famiglia, alla mia terra, sognavo che l’Eritrea sarebbe rifiorita. Non ero affatto curioso di andare all’estero. Dopo un anno di servizio militare obbligatorio insieme ad altre 10.000 persone fatto contemporaneamente agli studi in quinta superiore, ho finalmente preso la maturità. Nel campo del servizio militare la filosofia è che la persona dev’essere spaventata, non deve ragionare: è per quello che fin dai 18 anni di età ti seviziano e ti fanno lavorare duramente. Poiché eravamo anche studenti, abbiamo conseguito la maturità in quel campo: a causa del caldo e di tutte le privazioni di cui soffrivamo, solo il 4% (me incluso) è riuscito a diplomarsi ottenendo così il diritto di tornare a casa per frequentare l’università. Dopo aver finalmente rivisto i miei genitori, dopo un anno di sofferenza, sono andato in un collegio poiché dal 2001 l’università di Asmara era stata chiusa e sostituita da alcuni collegi fuori città. Quando ho visto il collegio mi sono accorto che era uguale al campo da cui ero appena sfuggito: controlli ogni mezz’ora, militari di guardia, ginnastica mattutina. A questo punto ho perso un po’ di speranza nel mio Paese: ho perso la speranza di laurearmi in ciò che volevo poiché erano loro a decidere cosa io dovessi studiare. Mentre studiavamo venivamo anche portati a costruire dighe e ponti, erano lavori forzati, non c’era il tempo di studiare. Durante uno dei lavori forzati ho realizzato che questa non era vita e ho deciso di lasciare l’Eritrea (era il 2007). Ma ora avevo un nuovo problema: come? Se scoprono che stai meditando la fuga ti mettono in galera, bisogna sapere come e con chi scappare tenendo tutto nascosto. Ho parlato con i miei amici studenti che vivevano con me concordando di lasciare quello schifoso Paese sotto il regime di Isseias Afewerki. Ho impiegato qualche mese a convincerli, perché sapevano che se fossero stati scoperti nell’atto di scappare, le guardie avrebbero avuto l’autorizzazione ad aprire il fuoco, e che se anche fossero stati scoperti da una persona coscienziosa sarebbero comunque stati portati in galera per almeno 3 anni. Superata la paura abbiamo tentato la fortuna: durante una notte di pioggia siamo riusciti ad arrivare in Sud Sudan e a superare il deserto, ed è solo dopo molte disavventure che sono riuscito ad imbarcarmi e a raggiungere le coste dell’Italia.
Hai paura di possibili ripercussioni sulla tua famiglia?
Quando hanno scoperto la mia fuga, mio padre è stato costretto a pagare una multa di 2.500 dollari, infatti il regime ha il potere di mettere in difficoltà la tua famiglia. Io con loro non avevo parlato del mio desiderio di fuggire. Dopotutto non era una decisione facile da intraprendere, mia madre non l’avrebbe mai accettato, e io rischiavo la morte.
Sei ancora in contatto con i tuoi genitori?
Li sento poco per telefono ed Internet anche perché il dittatore tiene tutti i mezzi di comunicazione sotto controllo.
Ora in Italia che fai? Che prospettive hai? Come ti senti vivendo da rifugiato?
Dopo che mi è scaduto l’asilo per motivi umanitari sono andato in questura a Bologna. La questura mi ha indirizzato all’ambasciata per ottenere il passaporto da loro. Io non ci volevo andare perché così facendo avrei messo in difficoltà la mia famiglia, si sarebbero intromessi nella mia vita privata e avrei dovuto pagare il 2% del mio reddito al regime (come tutti gli eritrei che vivono all’estero). Ho vissuto per 4 anni senza titolo di viaggio, ossia senza potermi spostare da Bologna lottando per ottenere una condizione migliore. Ho cercato un avvocato che ho pagato 500 euro, non ha fatto nulla di particolare ma, per il solo fatto di essermi rivolto a lui, la questura mi ha concesso il permesso di soggiorno e il titolo di viaggio. Adesso ho la protezione sussidiaria che dura 3 anni.
Che valore hanno per te i diritti umani?
La Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo è nata dopo la Seconda guerra mondiale proprio in risposta alle tante violazioni di quegli anni, e i suoi principi sono molto giusti, ma non c’è uniformità: ad esempio in Europa, dopo la nascita dell’Unione Europea, la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo è stata peggiorata dalla Convenzione di Dublino del 2003, secondo la quale una persona deve restare nel Paese dov’è è stata accolta per la prima volta, legge che mi ha colpito in prima persona e che mi ha impedito di trasferirmi in Svizzera. Non sento l’Europa unita nel problema dell’immigrazione, in Italia non c’è nemmeno l’impegno per far sì che questo si risolva, tanto che non vengono ascoltate le persone alla quali il diritto d’asilo è negato. L’Italia, pur essendo parte dell’Unione Europea non possiede nemmeno una legge vera e propria sull’immigrazione.
L’Italia come terra d’accoglienza: come la giudichi?
Si incontrano persone eccezionali, come quelle che mi hanno tirato fuori dalla strada, ma anche tanti razzisti. A livello legislativo invece non è in grado di dare una risposta ad un problema così evidente e pregnante. L’Italia, sotto questo aspetto, sembra il Paese che funziona peggio rispetto ad altri Paesi europei.